mercoledì 8 agosto 2012

L'accoglienza mercedaria: intervista a Padre Dino Lai


Com'è che avete pensato 25 anni fa di aprire il Centro Mercede?
La spinta iniziale è venuta sicuramente dalla constatazione delle condizioni in cui vivevano i bambini rom: la città ne era piena, i vigili urbani li fermavano e non sapevano dove portarli, qualcuno poi andava a finire al carcere minorile. Parlando con l'allora Presidente del Tribunale per i Minorenni Giampaolo Meucci dissi: “Perché non creiamo qualcosa per ospitare questi bambini, almeno per poco tempo, per vedere se riusciamo a risolvere il problema?”
In quegli anni questa era un'esperienza nuova, non solo per Firenze ma per tutta l'Italia.
Quali erano le caratteristiche innovative di questo servizio?
Meucci lo chiamava “il pronto soccorso dei bambini”: eravamo sempre disponibili, 24 ore su 24 tutti i giorni, per accogliere minori da 0 a 18 anni, sia maschi che femmine, e tutte le Forze dell'ordine erano informate dal Tribunale che le esigenze di pronta accoglienza dei minori a Firenze dovevano essere affrontate dal Centro Mercede. Il tempo di permanenza nel nostro centro all'inizio era di cinque giorni. Entro cinque giorni dovevamo riuscire a contattare le famiglie o i servizi sociali di qualunque parte d'Italia. Generalmente si riusciva a contattare tutti. All'inizio eravamo in pochi a lavorare: trovai tre ragazze che erano disponibili ad impegnarsi in questa nuova avventura e abbiamo iniziato così. In quegli anni, il 1983-1984, ero Direttore delle Opere mercedarie di Firenze.
Ricordi il primo minore che avete accolto?
Sì, era una ragazza, avrà avuto 17 anni, era di Cagliari, era stata fermata dalle Forze dell'Ordine alle Cascine e, naturalmente, portata in carcere. Il Dr. Meucci mi diceva: “ma che ci fa questa ragazza in carcere? - allora c'era anche la sezione femminile - portala da te!” e io la portai qui dove è rimasta per un po' e poi l'ho riaccompagnata a Cagliari. Alcuni anni dopo l'ho rivista che era già grande e poi ho saputo che è morta per un tumore al cervello. Conservo ancora una foto di questa ragazza...
Com'è cambiata l'accoglienza dei minori in tutti questi anni?
All'inizio abbiamo accolto tanti ragazzi italiani, affrontando anche situazioni particolari. Per farti un esempio, nel 1987 venne a fare un concerto a Firenze la cantante Madonna. Quella sera ci portarono dieci ragazzini italiani, dai 10 ai 14 anni, presi perché trovati soli dopo il concerto e portati da noi perché dovevamo riaccompagnarli a casa. Il giorno dopo quel concerto andai a Noto per portare un ragazzino a casa e una delle educatrici arrivò a portarne uno fino ad Alessandria. Era faticoso ma era molto bello perché c'era un contatto diretto con i genitori dei ragazzi; genitori preoccupati, arrabbiati ma davano riconoscimento e valore alla nostra presenza. Negli anni successivi è cominciata l’immigrazione: nel 1988 i primi maghrebini e poi gli albanesi, con qualche sporadica presenza di asiatici, e i rumeni.
E adesso i minori italiani non hanno più bisogno di un servizio d'accoglienza come quello del Centro Mercede?
Oggi i ragazzini italiani hanno gli stessi bisogni di 20 anni fa ma l'occhio dei servizi spesso non li guarda più perché c'è l'emergenza dei minori stranieri. A molti di questi bambini italiani andrebbe, almeno per poco, offerta la possibilità di essere allontanati da situazioni familiari insostenibili ed inseriti in qualche struttura di accoglienza.
Raccontaci qualche storia...
Eh... avrei tantissime storie da raccontare. La più tragica che ricordo. Una sera mi chiamano alle 23 da un famoso Hotel di Firenze dicendomi che in portineria c'era un bambino abbandonato in un carrozzino. Io parto, avviso il medico, i vigili e ci ritroviamo lì. Il medico dice che il bambino poteva avere sui sei mesi ma... non si sapeva di chi fosse. Lo prendiamo, con una operatrice, lo portiamo a casa, mentre loro in poco tempo rintracciano i genitori. Era una coppia dell'Aquila che gli sembrava di averlo messo in macchina ma l'aveva dimenticato. La mattina dopo siamo partiti per l'Aquila. Ricordo di essere stato duro con i genitori... come si fa a dimenticare un bambino?
Una storia molto bella riguarda una bambina rom. I rom ci conoscevano, andavamo spesso nei loro campi. Una notte una bambina viene al Mercede a raccontarmi che non poteva più stare al campo. Telefono a delle suore che conoscevo e loro mi fanno il piacere di tenerla per quella notte. Il giorno dopo con il Procuratore Nesticò riusciamo a trovarle una comunità. Poi ho perso ogni sua traccia. Qualche anno fa, una mattina viene a trovarmi all’Oasi una signorina accompagnata da una signora e mi apostrofa: “Ciao Padre Dino, mi sono laureata e sono venuta a salutarti”. Era quella bambina. Sono quelle storie che capitano con il tempo. Io lo dico sempre ai miei educatori: un ragazzino quando lo accogli non capisce che deve ringraziarti ma spesso, magari dopo tanti anni, se ne ricorda.
Cosa vuol dire accogliere?
Accogliere vuol dire essere mercedario e cioè disponibile per chi ha bisogno. Questi ragazzi che arrivano hanno un bisogno importantissimo: riuscire a capire cos'è la vita, cos'è il tempo buono, cosa vuol dire prepararsi. E tutto questo glielo può dare solo chi ha un cuore. I nostri operatori questo l'hanno capito, hanno imparato e lavorano molto con il cuore.

mercoledì 18 luglio 2012

Formazione per i Bilanci di Competenze

  

Nei giorni scorsi è stato avviato un percorso formativo sui bilanci di competenze con minori accolti in struttue di accoglienza, rivolto agli educatori del Centro Mercede e Don Zeno e curato della Prof. ssa Maria Rita Mancaniello dell'Università di Firenze. Prossimamente vi forniremo indicazioni e materiali delle attività che verranno svolte.

lunedì 2 gennaio 2012

La forza interiore di Padre Dino Lai

La testimonianza dei Padri dell’Oasi (Opera Assistenza Scarcerati Italiani) della Mercede

Sante Altizio Roma
Padre Dino Lai è come Iron Man. Solo che Iron Man non è sardo. In comune, il religioso e il supereroe,  hanno prima di tutto un cuore bionico e una sorta di passione per le sfide impossibili.

E poi c’è “una” differenza, che “fa” la differenza: padre Dino Lai esiste davvero. E vive a Firenze, periferia sud, in un luogo chiamato Oasi, anche se di esotico ha ben poco. “Il mio cuore non è bionico, è solo stato rimesso a nuovo dopo un infarto qualche anno fa – precisa Lino sorridendo – ma adesso … bhè adesso voglio proprio vedere chi mi ammazza !”.

Dino ha superato i 70 anni già da un po’, ma la maggior parte degli ultimi 50, li ha trascorsi in via Accursio 19 dove da 25 anni ha sede l’OASI Mercede. OASI è l’acronimo di Opera Assistenza Scarcerati Italiani.

“Negli anni 50 agli ex detenuti non ci pensava ancora nessuno. Abbiamo iniziato a pensarci noi”. Dietro quel “noi” ci sono i Padri Mercedari, un’ordine religioso antico come le crociate, fondato da un cavaliere spagnolo Pedro Nolasco. Lui e suoi primi seguaci si erano dati un compito: riscattare in terra musulmana i cristiani catturati in battaglia e resi schiavi.

Un mestieraccio. Che nessun altro voleva fare. Quasi una “mission impossibile”, roba da supereroe. “E’ vero. Ma è nel nostro dna. E quindi quando abbiamo aperto una comunità qui abbiamo iniziato a occuparci di detenuti scarcerati. E a firmare la prima convenzioni con il Comune di Firenze sono stato io”. L’accento sardo di Dino è marcato, mezzo secolo di Arno non hanno smussato le doppie dure, ma il sorriso, che lo accompagna quasi sempre, quello … è morbido.
L’OASI ha compiuto 25 anni il 2 dicembre. L’hanno celebrata gli ospiti di oggi, quelli di ieri, operatori sociali,  giudici minorili, autorità cittadine. Una mezza giornata insieme nella Parrocchia si San Leone Magno.


“Volevamo farci gli auguri. Tutti insieme. Un quarto di secolo accanto a chi ha bisogno è giusto festeggiarlo”. Come dargli torto? Se volete capire cos’è l’OASi oggi, a 25 anni dalla sua fondazione, dovete fermarvi a pranzo. O a cena.  Non è difficile, basta un colpo di telefono. “L’OASI è un luogo aperto. Aggiungere un posto a tavola per chi ci vuole conoscere sarà per noi un piacere”.

In via Accursio vivono una settantina di persone. Quelli più avanti negli anni sono ex detenuti, e sono quasi tutti italiani. Saranno una trentina, Poi ci sono i ragazzi. Da 13-14 anni, fino ai 18. Sono tutti stranieri. “Tutti minori non accompagnati” precisa Dino. Ovvero, si tratta di ragazzi arrivati illegalmente in Italia senza genitori, tutori e affini. Soli.

E arrivano quasi tutti dal nord Africa e dall’est Europa. Ognuno di loro è una storia complicata, di quelle che mettono i brividi o costringono alle lacrime. Spesso tutte e due le cose insieme. Ma osservarli a tavola è uno spettacolo. C’è aria di famiglia all’OASI e l’Iron Man di Sardegna ha l’aria del capofamiglia.

Accanto a lui un piccolissimo esercito di educatori, i fratelli maggiori. E così, il quadro è quasi completo.
“Noi non possiamo sostituire una famiglia, la loro famiglia. Siamo un’oasi nella quale si possono fermare un po’. Offriamo a questi ragazzi, che arrivano qui precipitati da una guerra o dalla miseria, un rifugio”. Già, perché se questa è un’oasi, fuori da quelle porta c’è la giungla.
E allora li si manda a scuola, si risolvono le questioni burocratiche, si affrontano le grane penali. “Si fa ciò che ogni genitore farebbe per un figlio che attraversa un brutto momento”.

Padre Dino Lai ha due sogni. Il primo è che Firenze diventi ancora più accogliente. “A volte mi sembra che la città non capisca bene cosa succede qui da noi. Invece è importante incontrarsi e comprendersi a fondo. Tra questi ragazzi ci sono molti cittadini di Firenze di domani”.

E il secondo? “Che coloro che hanno passato del tempo qui, non si dimentichino mai da dove arrivano. E che facciano qualcosa per coloro che domani arriveranno. Soli, impauriti, affamati. Come loro un tempo”. I sogni sono fatti per essere realizzati.

L'articolo su Vaticaninsider