Com'è che avete
pensato 25 anni fa di aprire il Centro Mercede?
La spinta iniziale è
venuta sicuramente dalla constatazione delle condizioni in cui
vivevano i bambini rom: la città ne era piena, i vigili urbani li
fermavano e non sapevano dove portarli, qualcuno poi andava a finire
al carcere minorile. Parlando con l'allora Presidente del Tribunale
per i Minorenni Giampaolo Meucci dissi: “Perché non creiamo
qualcosa per ospitare questi bambini, almeno per poco tempo, per
vedere se riusciamo a risolvere il problema?”
In quegli anni questa era
un'esperienza nuova, non solo per Firenze ma per tutta l'Italia.
Quali erano le
caratteristiche innovative di questo servizio?
Meucci lo chiamava “il
pronto soccorso dei bambini”: eravamo sempre disponibili, 24 ore su
24 tutti i giorni, per accogliere minori da 0 a 18 anni, sia maschi
che femmine, e tutte le Forze dell'ordine erano informate dal
Tribunale che le esigenze di pronta accoglienza dei minori a Firenze
dovevano essere affrontate dal Centro Mercede. Il tempo di permanenza
nel nostro centro all'inizio era di cinque giorni. Entro cinque
giorni dovevamo riuscire a contattare le famiglie o i servizi sociali
di qualunque parte d'Italia. Generalmente si riusciva a contattare
tutti. All'inizio eravamo in pochi a lavorare: trovai tre ragazze che
erano disponibili ad impegnarsi in questa nuova avventura e abbiamo
iniziato così. In quegli anni, il 1983-1984, ero Direttore delle
Opere mercedarie di Firenze.
Ricordi il primo
minore che avete accolto?
Sì, era una ragazza,
avrà avuto 17 anni, era di Cagliari, era stata fermata dalle Forze
dell'Ordine alle Cascine e, naturalmente, portata in carcere. Il Dr.
Meucci mi diceva: “ma che ci fa questa ragazza in carcere? - allora
c'era anche la sezione femminile - portala da te!” e io la portai
qui dove è rimasta per un po' e poi l'ho riaccompagnata a Cagliari.
Alcuni anni dopo l'ho rivista che era già grande e poi ho saputo che
è morta per un tumore al cervello. Conservo ancora una foto di
questa ragazza...
Com'è cambiata
l'accoglienza dei minori in tutti questi anni?
All'inizio abbiamo
accolto tanti ragazzi italiani, affrontando anche situazioni
particolari. Per farti un esempio, nel 1987 venne a fare un concerto
a Firenze la cantante Madonna. Quella sera ci portarono dieci
ragazzini italiani, dai 10 ai 14 anni, presi perché trovati soli
dopo il concerto e portati da noi perché dovevamo riaccompagnarli a
casa. Il giorno dopo quel concerto andai a Noto per portare un
ragazzino a casa e una delle educatrici arrivò a portarne uno fino
ad Alessandria. Era faticoso ma era molto bello perché c'era un
contatto diretto con i genitori dei ragazzi; genitori preoccupati,
arrabbiati ma davano riconoscimento e valore alla nostra presenza.
Negli anni successivi è cominciata l’immigrazione: nel 1988 i
primi maghrebini e poi gli albanesi, con qualche sporadica presenza
di asiatici, e i rumeni.
E adesso i minori
italiani non hanno più bisogno di un servizio d'accoglienza come
quello del Centro Mercede?
Oggi i ragazzini italiani
hanno gli stessi bisogni di 20 anni fa ma l'occhio dei servizi spesso
non li guarda più perché c'è l'emergenza dei minori stranieri. A
molti di questi bambini italiani andrebbe, almeno per poco, offerta
la possibilità di essere allontanati da situazioni familiari
insostenibili ed inseriti in qualche struttura di accoglienza.
Raccontaci qualche
storia...
Eh... avrei tantissime
storie da raccontare. La più tragica che ricordo. Una sera mi
chiamano alle 23 da un famoso Hotel di Firenze dicendomi che in
portineria c'era un bambino abbandonato in un carrozzino. Io parto,
avviso il medico, i vigili e ci ritroviamo lì. Il medico dice che il
bambino poteva avere sui sei mesi ma... non si sapeva di chi fosse.
Lo prendiamo, con una operatrice, lo portiamo a casa, mentre loro in
poco tempo rintracciano i genitori. Era una coppia dell'Aquila che
gli sembrava di averlo messo in macchina ma l'aveva dimenticato. La
mattina dopo siamo partiti per l'Aquila. Ricordo di essere stato
duro con i genitori... come si fa a dimenticare un bambino?
Una storia molto bella
riguarda una bambina rom. I rom ci conoscevano, andavamo spesso nei
loro campi. Una notte una bambina viene al Mercede a raccontarmi che
non poteva più stare al campo. Telefono a delle suore che conoscevo
e loro mi fanno il piacere di tenerla per quella notte. Il giorno
dopo con il Procuratore Nesticò riusciamo a trovarle una comunità.
Poi ho perso ogni sua traccia. Qualche anno fa, una mattina viene a
trovarmi all’Oasi una signorina accompagnata da una signora e mi
apostrofa: “Ciao Padre Dino, mi sono laureata e sono venuta a
salutarti”. Era quella bambina. Sono quelle storie che capitano con
il tempo. Io lo dico sempre ai miei educatori: un ragazzino quando lo
accogli non capisce che deve ringraziarti ma spesso, magari dopo
tanti anni, se ne ricorda.
Cosa vuol dire
accogliere?
Accogliere vuol dire
essere mercedario e cioè disponibile per chi ha bisogno. Questi
ragazzi che arrivano hanno un bisogno importantissimo: riuscire a
capire cos'è la vita, cos'è il tempo buono, cosa vuol dire
prepararsi. E tutto questo glielo può dare solo chi ha un cuore. I
nostri operatori questo l'hanno capito, hanno imparato e lavorano
molto con il cuore.